Dice la riforma Fornero che lo scopo è “l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili” e quello di ribadire “il rilievo prioritario del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (…) quale forma comune di rapporto di lavoro”.
Adesso che è passato circa un anno dalla sua entrata in vigore si può dire che quell’auspicio è purtroppo destinato a rimanere tale. In realtà le due grandi direttrici di riforma – in attesa dei nuovi ammortizzatori sociali, che dovrebbero entrare a regime nel 2017, se mai lo faranno – hanno già largamente fallito: da un lato infatti lariduzione delle tutele dell’articolo 18 ha dato il via ad una serie di licenziamenti individualiprima impossibili (riuscendo per di più a peggiorare la situazione del contenzioso in tribunale), dall’altro gli irrigidimenti sul’uso dei contratti flessibili ha portato alla perdita di posti di lavoro o a un peggioramento delle condizioni di quelli già esistenti
D’altronde, come disse lo stesso ministro, questa non è una riforma fatta per uscire dalla recessione, per quello “servivano i soldi”, mentre le nuove norme andranno verificate in condizioni normali: rimane però da chiedersi perché introdurre norme che rendono più facili i licenziamenti e più rigide le assunzioni in un momento in cui la priorità dovrebbe essere assicurare un posto a più gente possibile. Ecco, dunque, per capire di che si parla, un riassunto per punti della riforma e dei suoi risultati in questi mesi.
Nei primi cinque mesi del 2013 risultano 640mila rapporti di lavoro interrotti con un licenziamento (tra individuali e collettivi), il che significa un aumento dell’11% sul 2012. Nello stesso periodo le dimissioni sono diminuite dell’8,7% passando da 1,22 milioni a 1,1 milioni. Vediamo come, invece, le assunzioni si sono divise tra i vari contratti disponibili nel terzo trimestre 2012, cioè con la riforma Fornero in vigore: oltre il 67% delle assunzioni è stato formalizzato con contratti a termine (1,65 milioni), solo il 17,5% a tempo indeterminato (430.912) e il 6,4% con contratti di collaborazione (156.845 unità). L’apprendistato ha riguardato appena il 2,5% delle assunzioni. Rispetto ai mesi precedenti si registra un crollo per le collaborazioni (-22,5%) e per gli “altri contratti” flessibili (-24,3%).
In 3 mesi, da luglio a settembre 2012, sono andati persi oltre 57 mila lavori “a progetto”, da luglio a dicembre 2012 circa 302mila posti di lavoro. E la situazione, già drammatica, è destinata a peggiorare. La Banca d’Italia ha stimato che nei prossimi mesi si assisterà a un’ulteriore flessione della domanda: il tasso di posti vacanti, già basso, si è ancora ridotto da 0,7 a 0,5% delle posizioni lavorative attive nel terzo trimestre.
Come se non bastasse il contratto di apprendistato, su cui la riforma Fornero ha puntato come canale privilegiato d’ingresso al lavoro, rimane pressoché inutilizzato: nel terzo trimestre 2013 ne saranno attivati appena 8.800 (il 3,9% dei flussi in ingresso programmati totali nel periodo). Addirittura nel secondo trimestre 2012, prima quindi dell’arrivo della riforma Fornero, se ne attivavano di più: circa10.300”.
Da precari a disoccupati. Solo il 5% dei precari è stato stabilizzato dopo la riforma Fornero e solo un altro 4% è passato ad un contratto flessibile con più tutele, mentre il 27% ha direttamente perso il lavoro e il 22% è scivolato verso un contratto peggiore. E’ il risultato di un sondaggio online dei giovani della Cgil a cui hanno partecipato 500 precari (i risultati, ovviamente, sono puramente indicativi).
Prima i contratti a progetto e simili venivano sì stipulati in modo illegittimo, ma consentivano l’ingresso nel mercato del lavoro. La riforma Fornero, invece, ha irrigidito i parametri e adesso gli imprenditori sono più timorosi nell’adottare questi contratti per la paura della trasformazione del contratto a tempo indeterminato.
Stiamo assistendo nelle aule di tribunale, ma anche nelle commissioni territoriali delle Direzioni provinciali del lavoro, a una grande crescita dei licenziamenti tra gli ultracinquantenni. Questo perché alle aziende costano molto di più rispetto ai colleghi giovani e, inoltre, dopo la legge Fornero, non è più previsto il reintegro. Se l’obiettivo del governo era di agevolare l’uscita dal mercato del lavoro, allora ci sono riusciti.