Il Jobs Act? Tante promesse, troppe parole. Ma è forte la sensazione che anche sul fronte del lavoro nelle strategie del governo ci siano confusione e contraddizione. Renzi e Poletti sembarano “Stanlio e Ollio”!

Il sanguigno pragmatismo emiliano del ministro Poletti aiuta, in una stagione densa di tante promesse e di troppe parole. Ma è forte la sensazione che anche sul fronte del lavoro nelle strategie del governo ci siano confusione e contraddizione. stanlio e olio

Si continua a evocare il Jobs Act renziano, con un’enfasi che lo ha trasformato già in leggenda. Il testo è stato appena depositato in Parlamento. È una legge delega, sulla quale le Camere si eserciteranno con la consueta solerzia. Fa fede la legge delega sul fisco, appena giunta al traguardo: ci sono voluti due anni di discussione, tra Camera e Senato. Nel frattempo che succede al disperato esercito dei disoccupati e degli inoccupati, dei sottoccupati e dei precari? Per ora l’unica cosa certa è il decreto legge 34, che ha corretto la riforma Fornero sui contratti a tempo determinato, introducendo un’ulteriore flessibilità in entrata con il meccanismo dei 36 mesi e delle otto proroghe.

Una misura non proprio miracolosa, se è vero che nel Def si calcola un impatto sul tasso di occupazione pari allo 0,2% e un effetto di spinta sui consumi pari allo 0,4% del Pil. Ma a prescindere dalle conseguenze sul ciclo, quella che si fatica a comprendere è la direzione di marcia.

Secondo il Ministro del Lavoro , oggi, un contratto a tempo determinato costa troppo,  l’1,4% in più di uno a tempo indeterminato. Diciamolo: è troppo poco… Se un contratto a tempo determinato costasse il 10 o il 15% in più di uno a tempo indeterminato, ecco che le cose potrebbero cambiare. Se io azienda, dopo alcuni periodi di assunzione a tempo determinato, mi trovo bene con un ragazzo, posso pensare che mi convenga assumerlo a tempo indeterminato perché così risparmio».

Parole sante. Ma allora perché il decreto 34 che lo stesso Poletti considera «uno dei pilastri della nostra proposta» e dunque «non modificabile» – va esattamente nella direzione contraria? E poi che senso ha continuare a ragionare sulla distinzione tra contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato, se nel mitico Jobs Act si contempla a regime un contratto unico a tutele crescenti? Il cortocircuito, logico e politico, è evidente.

Tutti insieme, giriamo a Renzi il quizzone: è dunque il decreto lavoro, che liberalizza i contratti a tempo determinato, la vera e unica «riforma strutturale» del lavoro? La flexsecurity scandinava va benissimo, e la vogliamo tutti. Me se invece l’Italia punta sul modello Nestlè, che propone ai suoi dipendenti il precariato a vita, allora bisognerà pure che qualcuno lo spieghi ai nostri giovani.

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