I CO.CO.CO E I CONTRATTI A PROGETTO DOPO LA RIFORMA FORNERO

Le collaborazioni coordinate e continuative sono disciplinate, COCOCOper l’impiego privato, dal D.lgs. 276/2003 (la c.d. Riforma Biagi) la quale aveva introdotto l’obbligo, per il Committente, di indicare nel contratto uno specifico “progetto, programma di lavoro o fase di esso”.

Tale prescrizione comportava che, per essere valido, un co. co. pro. doveva avere i seguenti requisiti:
1) forma scritta, ad probabtionem;
2) indicazione del progetto, programma di lavoro o fase di esso;
3) durata a tempo determinato o determinabile;
4) corrispettivo nei minimi tabellari;
5) proroga solo in casi particolari;
6) prestazione resa in forma di lavoro autonomo: nessun vincolo di orario, strumenti di lavoro propri e non del committente, nessun obbligo di comunicare assenze o malattia, tutela minima per maternità e congedo.

La violazione anche solo di uno di questi requisiti determinava, e determina ancora oggi, la conversione del rapporto di lavoro in tempo indeterminato: la previsione del “progetto, programma di lavoro o fase di esso” per altro, doveva essere puntuale e specifica, possibilmente indicata come allegato a parte del contratto stesso.

Da un punto di vista giuridico, distinguere il lavoro autonomo coordinato e continuativo da un lavoro subordinato in senso stretto, è veramente difficile; un legislatore ragionevole avrebbe esteso anche alle co. co. co. la stessa disciplina (e tutela) per il lavoratore dipendente, ma così non è stato e quindi la normativa vive da dieci anni di contraddizioni e interpretazioni giurisprudenziali spesso in contrasto tra i loro: cosa sia indice di subordinazione, infatti, non è sempre poi così agevole da individuare.

Sotto un altro aspetto poi, la disciplina sul contratto a progetto sembrava costruita appositamente per incentivare il proliferarsi dei contenziosi, vista la nullità ontologica che colpisce questa particolare forma atipica di contratto.

La Riforma Fornero
Con l’art. 1, commi 23-26, la Riforma Fornero ha modificato la Legge Biagi avvicinando – ancora di più – il contratto a progetto al lavoro subordinato, quantomeno per le tutele che allo stesso sono riconosciute, e rendendo più rigide le modalità di esecuzione della prestazione.

In primo luogo, viene eliminato il “programma di lavoro o fase di esso”.
Pertanto, dal 18 luglio 2012 in avanti, tutte le nuove co. co. pro. dovranno essere collegate solo ed esclusivamentead uno specifico progetto, dettagliato in ogni minimo punto, e determinato nella durata; non si può collegare il progetto all’ordinaria attività aziendale, né le mansioni affidate al collaboratore possono essere ripetitive o di mera esecuzione: tale scelta è dovuta al fatto che, a buon ragione, si ritiene il lavoro a progetto (poiché autonomo) frutto del contributo intellettuale e professionale del collaboratore, ed una mera attività esecutiva sarebbe indice di subordinazione.

In secondo luogo, la Riforma introduce un comma bis all’art. 69 della Legge Biagi e disciplina le partite Iva o, meglio, il lavoro autonomo non coordinato: è davvero poco chiaro il motivo di questa introduzione visto che per il lavoro autonomo non coordinato la distinzione con il coordinato è fin troppo semplice e si trova dentro al codice civile.
In ogni caso, alla lettera, la nuova disposizione “trasforma” automaticamente in co. co. co. tutti i rapporti con partita Iva che non rientrano nei seguenti requisiti:
a) collaborazione inferiore agli 8 mesi nell’anno solare;
b) compenso inferiore all’80% del reddito complessivo del titolare di partita Iva;
c) definizione della c.d. committenza prevalente per la valutazione del compenso complessivamente percepito dal lavoratore;
d) postazione fissa e strumenti di lavoro del committente.

La trasformazione in co. co. co. in realtà è solo formale poiché, invero, l’obiettivo della Riforma è di colpire le false partita Iva e costringere i datori di lavori ad un’assunzione vera e propria; infatti, nei casi contemplati dal nuovo art. 69-bis, la conversione in co. co. co. determina automaticamente (per mancanza del progetto) una seconda e contestuale conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con sanzioni fiscali e previdenziali a carico del committente/datore di lavoro.

Questo rischio, tuttavia, viene escluso in tre casi: 1) la prestazione di lavoro autonomo resta tale in presenza di particolari competenze teoriche del collaboratore/lavoratore autonomo;
2) il reddito annuo lordo del lavoratore è pari ad almeno Euro 18.000; 3) si è in presenza di un esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione in un ordine professionale o registro. In presenza di uno di questi tre elementi, l’art. 69-bis non si applica.

 

 

Incidenza nel pubblico impiego
Il D.lgs. 276/2003, c.d. Legge Biagi, aveva esplicitamente escluso dalla propria disciplina le co. co. co. rese nella Pubblica Amministrazione; infatti, in ragione del principio di buon andamento che regola la Pubblica Amministrazione, l’accesso alla stessa è riservato esclusivamente ai vincitori di concorso pubblico ai sensi dell’art. 97 della Costituzione: disposto inderogabile, salvo riforma costituzionale (che non c’è mai stata).
Sul punto è stata fondamentale la sentenza Corte Cost., 27.3.2003, n. 89.

Questo comporta che una collaborazione coordinata e continuativa in una P.A., anche in assenza di un valido progetto, non può – e non avrebbe comunque potuto – trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato: un collaboratore, ad esempio, che sollevi una questione di tale genere innanzi al Giudice del lavoro, infatti, finirebbe con ottenere solo una qualche forma di risarcimento. Risarcimento che, eventualmente, potrebbe essere commisurato alle retribuzioni spettanti sino alla data di scadenza effettiva del rapporto di collaborazione.

In questa stessa direzione il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri si è espresso con la circolare del 15 luglio 2004 ed ha ulteriormente rilevato che “…con riferimento ai c.d. “co.co.co.”, la norma generale di cui al secondo comma dell’art. 36 del decreto legislativo 165/2001 impedisce a priori (indipendentemente dall’applicabilità senz’altro da escludersi del decreto legislativo 276/2003 alla pubblica amministrazione) l’operatività di qualsivoglia meccanismo di automatica conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, come invece stabilito per il settore privato dall’art. 69 decreto legislativo 276/2003. L’art. 36 citato, infatti, stabilisce che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni”.

La Riforma Fornero, lasciando a successivi decreti la possibilità di eventuali modifiche, non ha introdotto novità per quanto riguarda le collaborazioni coordinate e continuative nel pubblico impiego che, quindi, continuano a seguire la precedente disciplina: non è richiesto alcun progetto, ed una eventuale controversia che accerti la natura subordinata del rapporto di lavoro poterà, come unica conseguenza, il diritto al risarcimento del collaboratore. Rimane esclusa, pertanto, la conversione del rapporto.

 

 

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