DIMISSIONI IN BIANCO: come difendersi?

Quella delle dimissioni in biancodbb è una triste consuetudine del mercato del lavoro che l’attuale crisi economica non ha fatto altro che moltiplicare in maniera esponenziale. Secondo i dati ufficiali, nel corso del 2013 sono stati ben QUATTRO milioni i lavoratori (prevalentemente donne) costretti ad apporre la firma su false dimissioni volontarie al momento dell’assunzione. Nello stesso anno sono stati 800mila i licenziamenti collegati a questa pratica illegale.
Le false dimissioni volontarie vengono fatte firmare al lavoratore allo scopo di aggirare la normativa sui licenziamenti o, molto spesso, quella relativa ai congedi di lungo periodo dovuti, per esempio, a maternità o lunghe malattie. Sostanzialmente, insieme al contratto, i datori di lavoro redigono una lettera di dimissioni volontarie, lasciando “in bianco” la data che verrà indicata solamente al momento del licenziamento. Come “disarmare” i datori di lavoro fraudolenti e scongiurare questa pratica scorretta? L’articolo 4 della Riforma Fornero interviene prevedendo specifiche norme che hanno come esplicita finalità quella di debellare tale fenomeno:

1)    Art.4 comma 16 L.92/2012. Tutela della maternità e paternità e disposizioni circa l’obbligo di convalida delle dimissioni. Modificando le disposizioni contenute nel comma 4 dell’art. 55 del Testo Unico per la tutela della maternità e paternità, il nuovo comma dispone che, a partire dal 18 luglio 2012, sia la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, sia le dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gestazione o dal/la dipendente durante i primi tre anni di vita del figlio biologico o di adozione, vengano sospese fino al momento in cui non saranno convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali territorialmente competente.  Solo e soltanto dopo che questi organismi di controllo avranno verificato la correttezza della procedura la risoluzione del rapporto di lavoro potrà dirsi efficace.

2)    Art. 4 commi 17-18 L.92/2012. Disposizioni valide per tutti i lavoratori circa l’obbligo di convalida delle dimissioni (commi 17-18 Art.4 L.92/2012). Questi due commi si esprimono in linea più generale sulle disposizioni valide per tutti i lavoratori. Il comma 17 prevede che dopo la presentazione delle dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, le parti richiedano e ottengano apposita convalida presso la Direzione Territoriale del Lavoro, presso il Centro per l’Impiego territorialmente competente oppure presso altre sedi contemplate dai CCNL. Il comma 18, invece, concede la possibilità di apporre, in calce alla comunicazione di risoluzione del rapporto, un’apposita dichiarazione di conferma delle dimissioni che i datori di lavoro devono inviare al Centro Provinciale per l’Impiego entro 5 giorni dalla cessazione del rapporto.

Applicando il comma 17, una volta ottenuta la comunicazione di dimissioni o dopo aver definito la risoluzione consensuale del rapporto professionale, il datore di lavoro ha 30 giorni di tempo per invitare il dipendente a richiedere la convalida delle dimissioni e la risoluzione consensuale presentandosi alla Direzione Territoriale del Lavoro o al Centro Provinciale competenti. Optando per il comma 18, invece, il dipendente deve sottoscrivere la specifica dichiarazione di conferma posta in calce alla comunicazione di cessazione di rapporto. Il dipendente, comunque, ha 7 giorni di tempo per scegliere la modalità di risposta all’invito del datore di lavoro:

1)    sottoscrivere la conferma delle dimissioni o accettare l’invito a recarsi alla Direzione Territoriale del Lavoro e al Centro per l’impiego competente rendendo definitiva la cessazione del rapporto;
2)    rifiutare l’invito del datore di lavoro il che, dopo i sette giorni previsti, comporterà l’automatica risoluzione del rapporto;
3)    revocare le dimissioni, ripristinando il rapporto di lavoro dal giorno successivo alla revoca.

Ovviamente, con il coinvolgimento di una pluralità di organismi di controllo e l’intervento di terzi, il lavoratore è – teoricamente – meno esposto al fenomeno delle false dimissioni volontarie e il datore di lavoro che adotta stratagemmi illegali (e immorali) vede restringersi inesorabilmente il proprio campo d’azione.

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