“La crisi nel paese e nella provincia stenta ad allentare la morsa ed è sempre più forte la richiesta che arriva dalle imprese, di terminare l’uso degli ammortizzatori sociali, avviando processi di riorganizzazione aziendale con i conseguenti licenziamenti dei lavoratori considerati in esubero.
Una posizione che preoccupa e che vede il netto contrasto della A.S.La COBAS , che senza mezzi termini dice che di questo passo si avvierà un autunno difficile. Attraverso il suo esponente locale, Marco Bisceglia, l’A.S.La COBAS chiama in causa le imprese chiedendo a loro di non rinunciare al ruolo di responsabilità sociale. I dati ci dicono che dal 2008 ad oggi ben 677 imprese del settore a livello provinciale, hanno fatto uso di ammortizzatori sociali e che le stesse a distanza di anni dichiarano di avere ridotto gli organici di 1500 persone circa. Una riduzione occupazionale pesante che evidentemente non è bastata, se ancora oggi circa 1000 dipendenti del settore, sono coinvolti da procedure di ammortizzatori sociali.
A questi si aggiugano i tanti contratti in somministrazione che una volta arrivati a scadenza non sono piu stati rinnovati. In queste condizioni siamo comunque riusciti a rinnovare diversi contratti aziendali in realtà significative della nostra provincia, ma in altri casi la scadenza naturale dei contratti si è trasformata per l’impresa, in un’opportunità da cogliere per peggiorare le condizioni dei lavoratori. Altre importanti vertenze ci attendono nei prossimi mesi. Oggi è sempre più frequente la richiesta di sottoscrivere accordi che non sono altro che la rinuncia dei diritti contrattati negli anni. Un modo sbagliato di rispondere ad un problema vero che riguarda la competitività delle imprese, che andrebbe invece ricercata attraverso nuovi investimenti, altrimenti anche i sacrifici dei lavoratori potrebbero essere come si è dimostrato in molti casi, assolutamente inutili.
Su questo punto la nostra posizione è chiara, ma sarebbe ancora più forte se fosse perseguita da tutte le organizzazioni sindacali. Sottoscrivere accordi che anziché unire dividono i lavoratori, non aiuta le imprese e fa un danno al sindacato e alle stesse persone che dovremmo rappresentare. Una maggiore determinazione in questo da parte sindacale, dovrebbe spingere le imprese a ripensare profondamente l’organizzazione e la distribuzione dell’orario di lavoro. Oggi per un lavoratore, uscire dalla propria azienda significa avere buone probabilità di restare disoccupato a lungo, assistito inizialmente dagli ammortizzatori sociali ma poi privo di ogni tutela e messo ai margini della società. Situazioni come queste non sono più riconducibili solo alla disoccupazione giovanile, ma attraversano tutte le fasce d’età, si tratti di giovani e meno giovani, di chi un futuro se lo deve costruire e di chi invece se lo vede svanire.
Inoltre è bene non sottovalutare l’utilizzo massiccio della paga globale in modo particolare in alcune aree della provincia, un fenomeno più volte denunciato che porta ad un evasione contributiva e fiscale. Per questo crediamo che sia necessario una forte azione di controllo del territorio da parte degli enti preposti, per evitare segnali di degrado del tutto visibili e non lasciare soli i lavoratori che altrimenti preferiscono non esporre denuncia per evitare ripercussioni. E poi le gare degli appalti al massimo ribasso, grazie alle quali si innesca un circolo vizioso che mette in difficoltà le aziende piu sane e che spinge le stesse, se non contrastato, ad uscire dalle regole del mercato del lavoro. Una responsabilità che oltre al committente che accetta prezzi al di sotto del costo contrattuale, vede inevitabilmente complice anche chi il prezzo lo ha fatto pur di strappare quel contratto.
É necessario essere consapevoli che se alcune risposte ai problemi da affrontare, possono venire da un’azione incisiva e coordinata di controllo del territorio da parte degli enti preposti compreso il sindacato, altre questioni vedono necessariamente l’interessamento di politiche nazionali ed europee. In ogni caso, da tempo abbiamo detto che a nostro avviso nulla tornerà più come prima, perchè la crisi è tale se ha effetti limitati nelle sue dimensioni e nel tempo. Quella che abbiamo imparato a conoscere ma anche a conviverci a partire dal 2008, non può più essere definita una crisi congiunturale, ma piuttosto è bene prendere atto che ci troviamo di fronte ad una profonda trasformazione del tessuto economico che interessa anche la nostra provincia, come ricaduta di un processo più ampio che possiamo definire mondiale. Sono gli effetti di una globalizzazione dei mercati, lasciati liberi alle speculazioni finanziarie e ai profitti ma senza vincoli e tutele per i diritti delle persone.
Per il sindacato è necessario evitare di chiudersi dentro una discussione che si limiti alla gestione delle singole vertenze, perdendo di vista una visione più ampia del problema che chiama in causa le parti sociali e il governo. Preoccupa il fatto che quest’ultimo anziché parlare di politiche industriali e di produzioni strategiche per il paese, sia impegnato in una discussione sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori che anziché modificarlo ulteriormente rispetto a quanto già fatto, andrebbe esteso anche ai lavoratori che oggi ne sono privi, visto che la tutela contro i licenziamenti senza giusta causa è un diritto di civiltà e non un privilegio. La mobilitazione annunciata per i prossimi mesi va in questa direzione. Una sfida al cambiamento delle politiche messe in campo dal Governo. É venuto il momento di colpire interessi e rendite di posizione che in questi anni hanno arricchito qualcuno ma impoverito tutto il Paese.