In Italia il 12% dei lavoratori è povero: in Europa solo 3 Paesi fanno peggio di noi

Tre milioni di persone nel nostro paese non hanno abbastanza soldi per vivere dignitosamente, nonostante abbiano un impiego. Una situazione che in questi anni di pandemia di Covid non ha fatto che peggiorare. Da marzo 2020 a oggi sono 400 mila in più in questa condizione. Viene definito lavoratore povero (working poor) chi riceve un reddito individuale sotto gli 11.500 euro l’anno. Nel nostro paese, si tratta del 12% della forza lavoro totale. In Europa fanno peggio di noi solo Romania, Spagna e Lussemburgo. Dal 2008 ad oggi gli stipendi medi europei sono cresciuti del 22%, quelli italiani del 3%. La colpa è anche del precariato. Contratti a termine brevissimo di mesi o addirittura settimane, o di part-time obbligato. Sempre dal 2008, il numero di lavoratori costretti a svolgere solo poche ore è più che raddoppiato, passando da 1,3 milioni a 2,7 milioni. La situazione è particolarmente grave al Sud, dove l’80% dei part-time non è richiesto ma imposto dal datore di lavoro.

Come spesso accade, a farne le spese più di tutti sono i giovani. Circa il 50% dei lavoratori trentenni (30-34 anni) nel nostro Paese percepisce una retribuzione tra 8 e 16 mila euro all’anno, che si traducono in uno spettro di benessere che va da “povertà assoluta” a “sufficienza stentata”. Poco più in alto di loro c’è un altro 20% della categoria demografica che rischia di andare in difficoltà molto facilmente, poiché si ferma a 22 mila euro l’anno. Una condizione che ci si aspetterebbe migliori alla soglia dei 40 anni, ma che spesso rimane invariata.


Poco di confortante anche il quadro sulla disparità salariale, di genere e geografica. Al Sud si guadagna 25% in meno rispetto alla media del paese mentre le donne percepiscono in media il 27% in meno degli uomini. «Non si può essere poveri pur lavorando»

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