Chi troppo, chi niente: redistribuire per cambiare il paese?

Sono all’inizio di un lungo viaggio. Con me poche cose, anni di studio e la voglia di parlare alla testa e al cuore. chi troppo e chi nienteSopra di me, la stella polare dell’uguaglianza. Una stella che troppi hanno smesso di guardare, specie quelli che, ne facevano una bandiera e oggi la richiamo solo retoricamente. Chi Troppo, chi Niente, il mio nuovo libro, è un viaggio nell’Italia che paga ogni giorno il peso delle disuguaglianze, un’analisi numeri alla mano di un progetto politico. Un progetto complessivo che convinca le menti razionali e scaldi i cuori di chi vuole tornare a fare politica. Spero di incontrare molti di voi alle presentazioni del libro in giro per l’Italia (per essere costantemente aggiornati sulla date di presentazioni del libro in Italia seguite la pagina facebook di Chi Troppo Chi Niente) e in ogni caso raccoglierò, critiche, suggerimenti e commenti su questo blog, via mail e facebook. Il libro illustra: (1) come le disuguaglianze deprimano l’economia e scalfiscano la coesione sociale; (2) cinque aree da cui partire per riformare il paese; (3) da dove prendere i soldi per avviare ‘l’agenda dell’uguaglianza’; (4) l’esistenza di una ‘coalizione maggioritaria di elettori’ che avrebbero tutto l’interesse a sposare questo progetto. Primo, le disuguaglianze hanno raggiunto un livello intollerabile: siamo il secondo paese più diseguale d’Europa (dopo il Portogallo) e quello con la più bassa mobilità sociale; il 10% delle famiglie più ricche possiede il 27% del reddito ed il 40% della ricchezza nazionale; i 10 italiani più ricchi possiedono quanto i tre milioni più poveri; la tassazione sulla ricchezza e’ bassissima, quella sul reddito da lavoro insostenibile; la distribuzione della ricchezza negli ultimi 20 anni è cambiata drasticamente favorendo solo alcuni gruppi. Si è spostata dai giovani agli anziani, dagli operai ai dirigenti. Secondo, propongo di intervenire in cinque campi: dagli ordini professionali alla previdenza, dal lavoro alla coesione sociale, al federalismo. Si tratta di politiche diverse, che hanno tutte come fine ultimo la riduzione della disuguaglianza per accrescere l’efficienza del paese. Terzo, solo ridistribuendo con coraggio la tassazione – cioè colpendo le ricche pensioni di anzianità e intervenendo con decisione sui patrimoni e le rendite finanziarie, si può mettere in cantiere il programma di riforme che propongo. Basta con la tassazione altissima sul reddito da lavoro e sulle imprese che innovano; riduciamo invece gli eccessivi benefici concessi dal welfare a pochi cittadini fortunati e tassiamo di più le rendite spropositate che non contribuiscono a far crescere la produttività del paese. Quarto, esiste una “coalizione potenziale” da 25 milioni di votanti (più del 50% per cento degli elettori) che avrebbe tutto l’interesse a sposare “l’agenda per l’uguaglianza”: i pensionati che guadagnano meno di mille euro al mese; i disoccupati, i lavoratori precari e i lavoratori in nero; chi guadagna meno di 1200 euro al mese. Una coalizione maggioritaria che non esiste solo in Italia ma anche in altri grandi paesi Europei. L’agenda redistributiva potrebbe diventare, con vari correttivi nazionali, un programma a livello continentale per federare tutte le forze progressiste, partendo da chi oggi è più debole. Mi chiedo perché i partiti progressisti non parlino più a queste categorie e si limitino a difendere chi un lavoro ce l’ha. Occorre ricominciare a farlo. Come scriveva George Orwell «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri», non possiamo più permettercelo.

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