FINCANTIERI. A.S.La COBAS dice No alla Borsa

Da diverse settimane si susseguono da parte di Fincantieri e da autorevoli fonti governative annunci sulla quotazione in Borsa di Fincantieri.FINCANTIERI55

A.S.La COBAS GENOVA considera sbagliata tale scelta.

La crisi della cantieristica non è finita e la cassa integrazione nei vari cantieri navali, che proseguirà purtroppo anche per il 2015, ne è una dimostrazione.

Negli ultimi quattro anni, mentre perdura  l’utilizzo del sistema degli appalti come metodo principe per ridurre il costo del lavoro e i diritti, in Fincantieri Italia si sono persi quasi 800 posti di lavoro. Gli investimenti nei cantieri e nelle strutture produttive vanno a rilento e le uniche risorse aziendali esistenti sono state investite all’estero per nuove acquisizioni.

Oggi servirebbe un confronto serio con l’azionista ed il Governo per difendere una azienda manifatturiera importante, invece si rischia l’avventura della Borsa per fare cassa e coprire finanziariamente l’operazione di acquisizione di STX. Ma proprio STX acquisita dai coreani qualche anno fa, quotata in Borsa e che alla fine ha prodotto un debito e la crisi di alcuni cantieri europei, non ha insegnato niente?

La Borsa versa i soldi nelle casse aziendali e/o di governo una sola volta, ma l’anno dopo chiede utili che se non realizzati con la produzione andranno ottenuti chiudendo cantieri, trasferendo le produzioni all’estero, tagliando gli organici.

La Fincantieri oggi ha ancora 8 cantieri e diverse sedi in Italia proprio perché è fuori dalle quotazioni di Borsa e in questo modo ha potuto meglio gestire la crisi mondiale e dell’industria.

Per essere competitivi a livello internazionale occorre puntare sulla qualità e sulla professionalità di donne e uomini che compongono il nostro apparato industriale. Una delle possibili vie è quella di unire competenze, creando progetti che coinvolgano e concentrino risorse e professionalità in dimensioni di impresa e strategie industriali adeguate al mercato. Una delle ipotesi potrebbe essere quella, già avanzata da più parti, della creazione di un polo nazionale dell’energia e del trasporto (con il coinvolgimento, ad esempio, di Ansaldo Energia e Ansaldo STS). Questa potrebbe essere una prospettiva utile ai lavoratori, ma soprattutto al Paese. Ma per fare tutto ciò occorre una politica industriale di ampio respiro che veda nelle parti sociali un interlocutore e non un avversario, che abbia a cuore le sorti dell’industria italiana e del made in Italy come una opportunità di crescita collettiva, e non solo un’operazione per far felice il mondo della finanza.

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